La competizione tra agenzie di comunicazione e marketing digitale in Italia è una falsa partita. Per alcuni, invece, è una falsa partita IVA.

Oggi voglio raccontare il mondo delle false partite IVA e il modus operandi tipico di alcune realtà del settore del marketing e della comunicazione che operano come dei veri e propri banditi dell’imprenditoria.

Voglio anche raccontare la mia esperienza lavorativa personale con una digital agency con cui ho collaborato anni fa e che ha sicuramente contribuito a rafforzare la mia etica lavorativa e il mio senso di responsabilità nei confronti delle persone e dei professionisti con cui mi interfaccio ogni giorno.

Mi capita spesso di parlare con giovani ragazzi e ragazze, spesso coetanei, che vorrebbero affacciarsi a questo mondo dopo un lungo percorso di studi o dopo un’esperienza lavorativa non troppo soddisfacente.

Come dico spesso, il mondo delle agenzie è un complesso e intricato ginepraio dalle variopinte sfumature.

La mia esperienza professionale da falsa Partita IVA

Partiamo dalla mia esperienza diretta.

La realtà con cui mi sono imbattuto anni fa mi fece aprire la Partita IVA per collaborare con loro. In questo modo (a detta loro) mi avrebbero “dato l’opportunità” di lavorare con tanti clienti e aumentare il mio fatturato insieme a quello di altri professionisti.

Ho poi scoperto nel tempo che c’era la volontà di far mantenere un tetto massimo ai compensi che ricevevo, con la proposta di farmi diventare socio dell’azienda (l’azienda in questione era una società cooperativa , o forse, una falsa cooperativa).

Diventando socio mi sarebbe stato assegnato un compenso fisso mensile stabilito dall’azienda stessa. O per meglio dire, un tetto massimo al compenso che avrei potuto ricevere da quell’azienda.

Le fatture venivano preparate e confezionate dall’amministrazione dell’azienda (così come per tutti gli altri professionisti a partita IVA). Erano i tempi in cui non vigeva ancora l’obbligo di fatturazione elettronica per le Partite IVA in regime forfetario.

L’azienda in questione, in pratica, si auto emetteva le fatture a mio nome, caricandole su una cartella Google Drive dove mi veniva chiesto di inserire le eventuali fatture che avessi dovuto emettere verso i miei altri clienti.

Da una parte questo serviva per poter verificare la progressività della fattura da emettere a mio nome (che diventata a tutti gli effetti una mia fattura) e dall’altra per controllare verso quali altri clienti stavo emettendo fattura, così da poter verificare l’andamento del mio fatturato e di conseguenza ridurre i compensi dei progetti che mi venivano assegnati.

Sì, perché gli importi dei lavori che dovevo realizzare venivano stabiliti dall’azienda e non da me in quanto libero professionista. Non mi veniva mai chiesto di quotare il carico di lavoro di un progetto, né se il budget assegnato fosse congruo alle mie aspettative. In pratica, non esisteva alcuna trattativa tra azienda e professionista, trasformando quello che dovrebbe essere un normale rapporto di lavoro cliente-fornitore in un vero e proprio rapporto di subordinazione, con luogo di lavoro, orario di lavoro, compenso prestabilito e subordinazione a un superiore.

Insomma, ero sicuramente molto giovane e molto ingenuo. Però per poter giudicare una situazione bisogna viverla e trovarsi all’interno della stessa. Col senno di poi, è troppo facile parlare e giudicare.

Quando finalmente ho avuto il coraggio di far notare questa e altre storture del sistema che stavano attuando nei miei confronti e nei confronti di altre persone, mi è stato detto che se non mi stava bene potevo andarmene.

Ho provato a lungo a lottare contro quel sistema marcio e corrotto. E stanco ed esasperato dallo stesso, ho deciso di preferire la mia dignità di professionista e lavoratore. Per questo ho detto arrivederci e grazie. Quel grazie che nei miei confronti purtroppo non è mai stato pronunciato.

Questa esperienza è stata sicuramente uno dei motivi che mi hanno spinto a co-fondare la mia realtà, con il desiderio e la speranza di poter costruire un ambiente di lavoro migliore e rispettoso delle persone con cui avrei lavorato. Ed è proprio su questi presupposti che è nata Midable Digital Agency.

Anatomia della falsa Partita IVA

Ma cos’è e come si distingue una falsa partita iva?

Una falsa partita IVA è un soggetto titolare di partita IVA che è inquadrato giuridicamente come lavoratore autonomo e operante come un vero e proprio imprenditore indipendente. 

Di fatto, la falsa partita IVA si ritrova a lavorare con una singola azienda (fatturando soltanto a questa), con spesso degli orari di lavoro e dei vincoli contrattuali che rendono il soggetto un lavoratore dipendente mascherato. Senza avere i relativi diritti, tutele e protezioni che un lavoratore dipendente avrebbe con il CCNL di riferimento (Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro).

Questa pratica è spesso adottata dalle aziende per risparmiare sul costo del lavoro e scaricare il rischio d’impresa sul lavoratore.

Una pratica spesso adottata dagli studi di comunicazione e marketing è quella di assegnare un fisso mensile al professionista, assegnando enormi carichi di lavoro e dando vincoli di luogo e orario di lavoro. Il professionista emette poi a fine mese una fattura in misura fissa, a prescindere dai progetti svolti (come invece dovrebbe fare un lavoratore autonomo nei confronti del proprio committente). Questa retribuzione data in maniera fissa e con queste modalità, dalle mie parti, si dovrebbe chiamare stipendio.

L’anatomia di una falsa partita IVA è più o meno la seguente:

  • presenza di unico fornitore, verso il quale viene emessa una fattura che è a tutti gli effetti uno “stipendio” camuffato da prestazione di lavoro autonomo
  • compenso stabilito dal cliente che diventa a tutti gli effetti il proprio datore di lavoro
  • fattura preparata ad hoc dall’azienda “cliente” stessa
  • richiesta di lavoro in presenza e imposizione più o meno diretta di orari di lavoro
  • subordinazione a un capo o un responsabile al pari di un lavoratore dipendente

Caro lavoratore e cara lavoratrice a Partita IVA, ricordati che questa condizione non ti dà diritto a ferie, malattia, maternità, permessi, TFR, tredicesima/quattordicesima, disoccupazione e tutta una serie di benefit retribuiti che un lavoratore dipendente invece ha diritto.

Nella mia esperienza lavorativa mi sono ritrovato mio malgrado a essere una falsa partita IVA. Ci hanno provato a mettermi in questa condizione. Per un certo periodo di tempo ci sono anche riusciti. Per me è stato umiliante realizzare quanto stava accadendo

E se ti trovi in questa brutta condizione, sappi che non sei il solo e non sei la sola. Decina di migliaia (forse centinaia di migliaia) di persone sono nella tua stessa condizione. Alcuni con il desiderio di svolgere la libera professione e vincolati da comportamenti meschini di certe aziende, altri con la volontà di avere un posto di lavoro e uno stipendio e obbligati ad aprirsi una partita IVA per fatturare all’azienda aguzzina.

Tutto questo è sbagliato.

Tutto questo è profondamento ingiusto.

Tutto questo deve finire.

Il boom delle partite IVA in Italia

Stando ai dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2023 sono state aperte in Italia circa 492mila nuove partite IVA, un dato in linea con quello dell’anno precedente (e in linea con il trend degli ultimi 10 anni, più o meno intorno al mezzo milione annuo). Il 70% delle nuove partite IVA è costituito da persone fisiche, mentre il restante 30% da società di capitali (22,9%) e società di persone (3,1%).

Il dato interessante è che i giovani e le giovani under 35 rappresentano circa la metà delle nuove partite IVA aperte (49,1%).

Perché si tratta di un dato così importante?

Perché analizzando la Piramide delle Età relativa al 2023, gli under 35 (20-34 anni) rappresentano soltanto il 15,6% del totale della popolazione (arrotondiamo al 17% circa per includere la fascia 18-19, in quanto è teoricamente sufficiente avere più di 18 anni per aprire una partita IVA in Italia). La fascia di età compresa tra 35 e 64 anni (limite della popolazione in età lavorativa) rappresenta invece il 43,1% del totale della popolazione.

Guardiamo adesso al totale della popolazione in età lavorativa (al netto della fascia 15-17). Il totale ammonta a 35.734.740 lavoratori e lavoratrici di età compresa tra i 18 e i 64 anni. E consideriamo come trascurabile il dato delle nuove partite IVA over 65.

EtàTotalePercentuale sul totale
18-19*1.158.043*3,24%
20-242.938.3448,22%
25-292.995.6708,38%
30-343.234.1239,05%
35-393.366.6639,42%
40-443.773.56410,56%
45-494.503.97712,60%
50-544.791.46513,41%
55-594.810.60113,46%
60-644.162.29011,65%
Totale35.734.740100,00%
*La fascia 18-19 è stata calcolata dividendo per 5 e moltiplicando per 2 la fascia 15-19
18-34 anni10.326.18028,90%
35-64 anni25.408.56071,10%

Per riepilogare:

  • Al 28,9% della forza lavoro under 35 corrisponde il 49,1% del totale delle nuove partite IVA
  • Al 71,1% della forza lavoro over 35 corrisponde il 50,9% del totale delle nuove partite IVA

Prendiamo ovviamente questi dati con il dovuto errore statistico e le piccole inesattezze del caso. Ma non è certo qualche punto percentuale a fare la differenza con questi numeri così evidenti.

Il dato è abbastanza chiaro: le partite IVA under 35 sono davvero tante e in continuo aumento.

Siamo quindi sicuri che questa voglia di lavoro autonomo sia un fenomeno da guardare con entusiasmo? Quante di queste partite IVA under 35 sono il riflesso di un vero spirito d’impresa e quanto invece servono a camuffare situazioni ben diverse?

Sia chiaro, se ciò corrispondesse a un senso di consapevolezza da parte dei lavoratori e delle lavoratrici sull’importanza dell’autoimprenditorialità e dell’imprenditoria in generale, questo dato sarebbe un grande segnale per la crescita economica del nostro Paese.

D’altro canto, è sicuramente vero che una carriera nella libera professione è più probabile che inizi nella fascia di età under 35, piuttosto che in quella over 35.

Ma in questi dati, quanto precariato si nasconde e quante false partite IVA sono davvero presenti in Italia? Dai pochi dati che ho trovato (l’unica fonte attendibile è un dato dell’ISFOL del 2012), si stimano circa 400mila false partite IVA in Italia. Ma trovo questo dato sinceramente obsoleto, soprattutto con l’avvento del Regime Forfetario che ha certamente abbassato le barriere d’ingresso.

Contratti pirata e imprenditori banditi

Quando ho chiesto alla consulente del lavoro di indicarmi il CCNL di riferimento da applicare per la nostra prima assunzione in Midable, c’è stato un momento di panico. Qual è il CCNL da applicare? Commercio? Industria? Pippo?

Lo studio che ci segue ha scandagliato le varie possibilità, andando a ispezionare anche i contratti applicati da aziende come la nostra. Mi è stato riferito – ho poi scoperto casi reali di conoscenti – che alcune aziende applicano il CCNL metalmeccanici al settore dell’informatica, della comunicazione e del marketing.

Quindi anche quando spunta un contratto regolato da un CCNL, capita spesso di imbattersi nella qualifica di “metalmeccanico”. Ebbene sì, ci sono migliaia di persone operanti nel settore della comunicazione e del marketing digitale che sono inquadrate come metalmeccanici.

Fa ridere, ma è una triste realtà.

Le conseguenze sul mercato del lavoro

L’uso diffuso delle false partite IVA ha delle conseguenze pesanti sul mondo del lavoro, perché crea dei meccanismi di concorrenza sleale nei confronti di chi rispetta le regole facendo le corrette assunzioni o commissionando lavori a fornitori e professionisti nella condizione di emettere regolari fatture.

Lato agenzia, chi adotta questa pratica può permettersi di presentare preventivi nettamente più economici, impoverendo ulteriormente il valore del lavoro svolto da agenzie serie.

Lato professionista, viene alimentato un mercato del lavoro parallelo, caratterizzato da una condizione di precarietà, insicurezza e assenza di tutele.

Conclusioni

Il fenomeno delle false partite IVA è a tutti gli effetti una minaccia per il settore del marketing e della comunicazione. Anche se è una peculiarità trasversale al mondo del lavoro, specialmente nel mondo delle professioni (con e senza albo di riferimento).

Per quanto mi riguarda è più che mai urgente e necessaria una regolamentazione nel settore e maggiori controlli per arginare questo fenomeno. Sia per tutelare il mercato del lavoro che per tutelare i lavoratori e le lavoratrici.